[Roma] Studente ascolano aggredito perchè antifascista

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ROMA – Aggredito e picchiato per colpa della politica. «Scusa, tu sei antifascista?». Una domanda a bruciapelo, poi le botte: calci, pugni e altri colpi alla testa inferti con un punteruolo. Sono le venti di mercoledì 2 febbraio, quando M. P., 22 anni, uno studente fuorisede iscritto al secondo anno della facoltà di Scienze motorie all’Università del Foro Italico, racconta di essere stato avvicinato da tre coetanei italiani, mentre aspettava l’autobus in largo Maresciallo Diaz, a pochi metri da Ponte Milvio. «Stavo aspettando il 69, dovevo andare a studiare a casa di un amico, quando ad un tratto si sono avvicinati tre ragazzi apparentemente normalissimi. Mi hanno chiesto se ero antifascista, ho risposto di sì, e in una frazione di secondo mi sono ritrovato a terra, con loro che mi ricoprivano di colpi. Quando mi sono rialzato, dalla testa grondavo sangue». Poi la corsa al Pronto soccorso dell’Ospedale San Pietro per farsi medicare le ferite. Il referto recita: «Trauma cranico non commotivo e facciale contusivo. Ed escoriazioni al cuoio capelluto».

Cinque giorni di prognosi. «Poteva andarmi peggio», prova a sdrammatizzare, mentre racconta l’accaduto. Perché aggredirlo? Picchiarlo selvaggiamente mentre attendeva semplicemente l’autobus alla fermata? «L’unica ragione può essere stato il mio aspetto fisico», dice. Forse il suo taglio di capelli con un accenno di cresta, oppure la Kefia palestinese arrotolata intorno al collo, sopra il giubbotto in pelle. Di sicuro c’è che M. non ha alcuna militanza politica alle spalle. È un fuorisede come tanti. Viene dalla provincia di Ascoli Piceno, vive nella zona di Ponte Milvio solo da pochi mesi. «L’hanno scorso stavo a Monteverde – afferma – Quest’anno ho voluto avvicinarmi all’università. Condivido un minuscolo appartamento con altri quattro ragazzi, pago 300 euro al mese per una stanza doppia. La casa è vecchia, ma almeno è vicina alla facoltà». L’unica ragione che può aver attirato l’attenzione del branco è legata al suo aspetto esteriore.

M. quella sera stava parlando al telefono con la sua ragazza alla fermata del 69 in largo Maresciallo Diaz. «In chiusura di telefonata si sono avvicinati a piedi tre ragazzi, mai visti prima – scrive la sera stessa al sito inviatospeciale, raccontando una prima volta l’accaduto -. Mi hanno chiesto qualcosa, ma non sono riuscito a capire. Credevo che fossero dei passanti in cerca di informazioni. Mentre avevo ancora il telefono in mano, mi hanno ripetuto in romanesco: “Tu sei antifascista?“. “Come?“, ho chiesto spiazzato dalla domanda. Al che uno di loro mi ha ripetuto: “Ma tu sei antifascista?“. A quel punto con la massima tranquillità ho risposto: “Beh, sì“. Non ho fatto in tempo a concludere la frase, che hanno iniziato a colpirmi con dei pugni in pieno volto, e in testa, con un arnese appuntito. Quando sono caduto a terra, ai pugni si sono aggiunti i calci. Il tutto è durato pochi secondi, poi i tre sono fuggiti. Io mi sono rialzato e mi sono reso subito conto che perdevo sangue dal labbro e dal naso, oltre che dalla testa: in terra si è velocemente formata una grossa pozza, che ha macchiato anche la pensilina dell’Atac. I miei occhiali erano accartocciati, il telefonino sull’asfalto in mille pezzi. Sono riuscito ad avvisare i miei coinquilini solo grazie alla gentilezza delle due signore che erano con me alla fermata e che hanno assistito alle scena».

«Mentre attendevo l’ambulanza – continua M. – si è fermato anche un autista di un autobus per vedere cosa stava accadendo. Le signore sono rimaste a fornirmi acqua e fazzoletti mentre accorrevano i miei amici». Poi Massimo viene portato sulla piazza di Ponte Milvio, «dove ho spiegato l’accaduto a una pattuglia della Municipale che era lì per un incidente stradale. Anche loro hanno provato a chiamare l’ambulanza, che però non è mai arrivata». Alle 21, un automobilista si offre di accompagnarlo al San Pietro, sulla Cassia.

A una settimana di distanza da questa brutta avventura, resta lo sconcerto. Non la paura «quella mai, al limite un pò di apprensione – spiega Massimo- perché ogni giorno sono costretto a prendere l’autobus alla stessa fermata». E sopratutto resta la consapevolezza «che a Roma Nord si può essere aggrediti senza motivo per una Kefia e un paio di orecchini».

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