Una vita sequestrata dallo Stato, un uomo
ucciso o lasciato morire nel carcere di Livorno, lo stesso dove sei
anni fa fu massacrato Marcello Lonzi. Continua la mattanza nelle
carceri italiane e le mani di Alfano e Ionta, in primis, grondano
sangue.
(ANSA) – ASCOLI PICENO, 31 LUG – Stava finendo di scontare una
condanna a cinque anni e otto mesi di reclusione per reati legati allo
spaccio di stupefacenti Emilio Angelini, il detenuto ascolano di 45
anni che ieri sera si è ucciso nel carcere di Livorno, impiccandosi
alle sbarre della cella con la sua felpa. Angelini era tornato in
carcere il 2 luglio del 2008, dopo che la condanna a suo carico era
diventata definitiva. Nel 1993 era stato coinvolto in un giro di droga
insieme ad altre persone, condannate come lui tre anni dopo dal
Tribunale di Ascoli Piceno. Contando il periodo trascorso in cella a
suo tempo, lo sconto di pena dovuto all’indulto e l’ultimo anno di
detenzione, gli restavano da scontare circa un anno e mezzo. Il suo
difensore, l’avv. Felice Franchi, aveva però presentato istanza al
giudice e al Tribunale di sorveglianza di Ancona per la concessione di
misure alternative. Le condizioni di salute e lo stato di
tossicodipendenza del suo assistito (in terapia presso il Sert di
Ascoli), erano ad avviso del legale "non compatibili con la detenzione
carceraria". E invece, negli ultimi 12 mesi, Angelini ha cambiato
carcere cinque volte. Prima è stato rinchiuso nel supercarcere di
Ascoli, poi nella casa circondariale di Pesaro, da dove, proprio per
motivi di salute, era stato spostato nella struttura psichiatrica
giudiziaria di Livorno per alcune settimane. Quindi, nuova traduzione a
Pesaro, e, nei giorni scorsi, ultimo ricovero a Livorno, dove ieri si è
tolto la vita. (ANSA).