[L’Aquila] Corrispondenza dai campi * in aggiornamento *

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Carne avariata e personale della protezione civile con la scritta "Io sono Hitler"
Controinformazione e denuncia al femminile dalle tendopoli abruzzesi.
Un’intervista a cura della rete di soccorso popolare: scarica qui


LETTERA DA POGGIO PICENZE

Questa donna, se è viva, lo deve a Giampaolo Giuliani, il tecnico denunciato per procurato allarme da Guido Bertolaso.
Le interviste da lei rilasciate sono state più volte oscurate su You Tube

A Poggio Picenze si sta bene
A Poggio Picenze si sta bene, se non consideriamo la temperaturaesterna intorno ai 30° e quella interna alle tende certamentesuperiore. Stanno bene specialmente gli anziani, magari malati estanchi. Alcuni erano talmente stanchi che hanno preferito morire. MaFrancesco ha fiducia e mi dice: "Tanto domani arrivano icondizionatori". I condizionatori il giorno dopo non sono arrivati enemmeno quello dopo ancora…

Sappiamo che una settimana fa si parlava di virus gastrointestinale.Colpiva gli sfollati nelle tendopoli, solo a Poggio Picenze sono statemale circa 70 persone. Qualche giorno dopo sono arrivati i NAS. Hannoportato via la cucina da campo perché non rispettava le normeigieniche. Solo un caso, perché a parte questo a Poggio Picenze si stabene.
Non importa se quando hanno portato una nuova cucina – o era sempre lastessa? – hanno cucinato spaghetti spezzati bolliti, senza neanche unfilo d’olio, seguiti da un bel wurstel come secondo. Ci sono sfollati aPoggio Picenze di fede musulmana. E’ come se dessero una fiorentina aun cattolico il venerdì santo… Ma questo, mi rendo conto, è del tuttosecondario.

A Poggio Picenze si sta bene, in fondo i macedoni sono andati viaquasi tutti e chi è rimasto deve vedersela con gli xenofobi di CasaPound. Gestiscono il magazzino degli abiti e degli alimenti. Qualchegiorno fa è tornato dal suo paese un macedone, accompagnato da suamoglie incinta. Ha chiesto delle coperte perché gliene avevano datesolo due. Se di giorno si crepa di caldo vi assicuro che di notte fafreddo. Si è visto trattare in malo modo dal buttafuori del magazzino.Se Alessandra non fosse intervenuta probabilmente non avrebbe avutonessuna coperta…
Ma a parte queste piccolezze, al campo di Poggio si sta benissimo.

Io sono residente a Poggio Picenze da molti anni, però quando arrivoall’ingresso del lager c’è uno sconosciuto vestito da Rambo che michiede: “Lei chi è e cosa deve fare nel campo?”. Evidentemente non hoquel carinissimo tesserino giallo che fa sentire le persone tutte partedi uno stesso gruppo. La sicurezza è importante e viene prima di tutto.Ma non è una questione di sicurezza anche la distribuzione di cibi nonavariati?
Forse no, dopo tutto a Poggio Picenze si sta bene.

Faccio un giro per salutare altri amici che si trovano in altresistemazioni esterne al campo. Mentre parlo con alcuni di loro, vicinoalla Piazza Rosa, passano due ceffi che rallentano per girare e ciscrutano dettagliatamente. Lì per lì mi preoccupo, poi mi è tuttochiaro.
Sono i tutori dell’ordine di Casa Pound. Si chiamano Casa Pound ma sonoa casa tua. Ti fanno sentire un’estranea, ma lo fanno solo per teneresotto controllo la situazione, per motivi di sicurezza. Mai stati cosìsereni i poggiani! Sono talmente sereni che a guardarli mi viene vogliadi portarli tutti via con me.

Stefania Pace
Residente a Poggio Picenze.
Sfollata a Silvi.



DIARIO / COMUNICATO 2
ANCORA DALL’INFERNO DELLE TENDOPOLI

Freddo di notte, caldo di giorno, un caldo sfibrante, soprattutto per i 120sfollati di Colle Sassa, rimasti senza acqua, senza poter bere e lavarsi per 2giorni, fino a quando non hanno protestato e minacciato querele.
Freddo dinotte, caldo di giorno.

Nelle cuccette e nelle tende alla mattina non si puòpiù stare: manca l’aria e il termometro sale ad oltre 30°. Il microclima, ilsovraffollamento, le scarse condizioni igieniche e i tardivi controlli suglialimenti e la gestione della cucina nei campi favoriscono la diffusione dimalattie infettive e parassitarie. 50 casi di gastroenterite nel solo campo dipiazza d’armi in un solo giorno e i malati vengono tenuti in isolamento nelletende. Un caso accertato di tubercolosi nel campo di Pizzoli, ma le prime notizieapparse su televideo parlavano di 5 malati di tubercolosi all’Aquila.
Di unacosa sicuramente siamo tutti malati, la disinformazione. La protezione civilepromette condizionatori e doppi teli per proteggersi dal sole, ma intanto siaspettano ancora lavabi in prossimità dei cessi chimici e i medici asserisconoche: "per prendere una diarrea basta aprire la porta del bagno chimico epoi non lavarsi le mani". Sapete cosa ha risposto la protezione civile aduno sfollato disoccupato che chiedeva teli frangisole e frigoriferi per ilcampo? "Vedi di farteli regalare da qualcuno, noi non ne abbiamo!" Facaldo, troppo caldo nelle tende, i bambini, gli anziani, i malati costrettiall’isolamento non riusciranno a superare l’estate e l’ospedale da campo non èin grado di fronteggiare l’emergenza. Nonostante i climatizzatori, nelle tendedell’ospedale la temperatura supera i 30° e i ricoverati, di cui una trentinadi anziani allettati nelle tende di medicina interna, aspettano i rifornimentidi integratori salini contro il caldo. Per andare al bagno, chi può alzarsi dalletto deve uscire dalla tenda per raggiungere i cessi chimici e durante il percorsorischia di inciampare in un’altra minaccia, le vipere. Ma non è tutto: dal 20maggio, per una settimana, sono sospesi gli esami per i pazienti ambulatorialie ricoverati per liberare le aree dove verrà montato l’ospedale da campo delG8. Questo maledetto G8, che già da ora rende ancora più invivibile, con la suainvadenza militare e finanziaria le condizioni degli sfollati aquilani. Un G8che sottrae e sottrarrà alla rinascita della città risorse urbanistiche edeconomiche preziose.
L’ennesima beffa e provocazione a danno dei terremotatiabruzzesi.

Un G8 per il quale verranno sperperati 90 milioni di euro di denaropubblico per stendere un tappeto rosso sotto i piedi degli 8 potenti dellaterra (sotto i piedi dei terremotati abruzzesi solo scosse e vipere), un G8 peril quale il governo si sta adoperando in tutta fretta per mettere in sicurezzada eventuali contestazioni gli 8 potenti della terra, nella roccaforte blindatae antisismica della caserma ”Vincenzo Giudice” (che potrebbe ospitare già daadesso 25.000 sfollati, o in alternativa la sede dell’università dell’Aquila),un G8 per il quale verranno sottratti agli sfollati altri 900mila euro perl’adeguamento dell’aeroporto di Preturo alle esigenze di mobilità e sicurezzadegli 8 potenti della terra (alle proprie esigenze di sicurezza e di mobilità glisfollati devono pensare da soli, senza intralciare le forze del disordine adifesa del G8 e della più alta concentrazione in Italia di depositi bancari,quale era l’Aquila sicuramente già prima del sisma del 6 aprile), un G8 per ilquale già da ora il diritto alla mobilità, alla salute, al lavoro, alla casa,alla sicurezza dei terremotati abruzzesi passa in secondo piano rispetto aiprivilegi e all’arroganza dei potenti e dei governi. Dal 6 aprile non abbiamopiù diritto all’autogoverno, non abbiamo più diritti. I malati vengono speditifuori dall’Abruzzo per essere curati e il personale medico, così come anchequello dell’università, se può abbandona il territorio. Qui non c’è più lavoroper gli aquilani, qui non c’è più neanche l’assistenza sanitaria minima,garantita prima del terremoto. Gli operai comunali sono a braccia conserte e labreccia delle cave abruzzesi per i campi e per il G8 viene prelevata da ditteprovenienti da Milano o Torino perché, dicono, le cave non sono sicure, come sele ditte di Milano o Torino conoscessero il territorio abruzzese meglio di chici vive da sempre. La disoccupazione nel territorio aquilano, già molto elevataprima del terremoto, ora ha raggiunto livelli insopportabili per un tessuto socialecosì profondamente diviso e sparpagliato tra un presente di tendopoli ealberghi-ghetto e un futuro di new town. L’Aquila nacque dall’unione di 99villaggi, che strinsero un patto per fuggire alle vessazioni dei baroni feudalie garantire a tutti stessi diritti civici e uso delle proprietà collettive,come boschi e pascoli. Ora questi campi, le future new town, riporterannoindietro l’orologio di questa città di almeno 8 secoli. Fa caldo, troppo caldonelle tendopoli e si muore di noia. Chi prima aveva un lavoro, seppur precario,ora non lo ha più e migliaia di famiglie non hanno più neanche un reddito sucui contare. Né il governo centrale, né le amministrazioni locali si sono concretamenteimpegnati a far ripartire l’economia del territorio, privilegiandoevidentemente speculazioni di interesse politico ed economico a discapito deltessuto umano. I prodotti locali dell’agricoltura e dell’allevamento,inutilmente offerti alla protezione civile per il consumo nei campi, rimangono invendutie devono essere distrutti. Sono le grosse catene di distribuzione e non ipiccoli produttori indigeni a guadagnare dall’emergenza. Nelle tendopoli glisfollati non hanno certo diritto di scelta e, mentre nelle stalle abruzzesi ivitelli invecchiano e il latte deve essere gettato, nei campi la minestra èsempre quella del cibo in scatola o surgelato, di dubbia provenienza einesistente genuinità, probabile concausa della recente epidemia didissenteria. I lavoratori aquilani sono costretti ad emigrare per trovare unlavoro, anche perché di fatto, gli enti locali sono stati commissariati. La popolazione,con il decreto 39 e relative ordinanze viene espropriata di ogni poteredecisionale in merito al proprio destino, sia per quanto riguarda la fasedell’emergenza (impossibilità di autogestione nei campi della protezione civilee blocco degli aiuti da parte della stessa nei confronti dei campi autogestiti)sia per quanto riguarda quella della ricostruzione, per la quale il suddettodecreto, invece di privilegiare i lavoratori del posto, promette una giungla disubappalti ad imprese a partecipazione mafiosa e massonica, provenienti daaltre zone d’Italia. Non siamo un popolo di accattoni, vogliamo solo quel checi spetta: il lavoro e la terra per ricominciare a sognare, per ricostruire lenostre case, per vivere con dignità, come abbiamo sempre fatto. Ma qui ci impedisconodi lavorare e si prendono la terra e presto si prenderanno anche tutte lenostre macerie, la nostra storia, i nostri ricordi, le prove della lorocolpevolezza oltre che della nostra vita. Si prendono tutto il nostro tempo: iltempo che ci vuole per aprire e chiudere una tenda della protezione civile ognivolta che si entra e che si esce (stimato in media di 20′), il tempo che civuole (ore, giorni o addirittura mesi senza risultati tangibili) per cercare diavere notizie o documenti dall’infernale macchina del DICOMAC (DIrezione diCOMAndo e Controllo, l’organo di Coordinamento Nazionale delle strutture di ProtezioneCivile nell’area colpita) e di quel che è rimasto degli sportelli comunali, iltempo che ci vuole per cercare di chiamare, a un numero verde sempre occupato,un autobus per potersi spostare (ore e a volte giorni), il tempo che ci vuoleper gli sfollati nella costa per aspettare un autobus che non arriverà mai.L’Aquila è ormai una città assediata dalla burocrazia e dalla militarizzazione,blindatissima per il G8 ed ermetica alle concrete esigenze degli aquilani.Senza notizie e informazioni gli sfollati sono costretti a file sfibranti solo perlasciare il documento al maresciallo di turno ed uscire insoddisfatti e sfiniti,pronti per un’altra fila presso un altro com o un altro ufficio. Fa caldo,troppo caldo nelle tende e nelle file laceranti fuori dai COM e fuori dallemense, dalle docce, dalle tende con gli aiuti. Il tempo, scandito dalleesigenze di profitto dall’emergenza e non da quelle della ricostruzione deltessuto sociale, la convivenza forzata, la perdita totale di ogni frammento diintimità e di identità collettiva nei luoghi e nei tempi controllati daldisordine della protezione civile ed associazioni da essa accreditate, l’ozioforzato cui sono costretti gli sfollati cominciano a prendere forma nellerisse, nelle violenze alle donne e nella guerra tra poveri. E mentre icarabinieri e i media minimizzano, per evitare che questa rabbia gli si rivolgacontro il generale Bertolaso chiede aiuto all’arcivescovo e ai preti: "lagente nelle tendopoli comincia a rumoreggiare, tocca anche ai sacerdoti veicolaremessaggi distensivi per evitare rivolte popolari". Naturalmente in unasituazione così "surriscaldata" l’appello ai parroci potrebbe nonessere sufficiente e così il controllo governativo dei campi profughi sicapillarizza in chiave autoritaria, oltre che con la militarizzazione dei campistessi, anche con la gerarchizzazione delle persone ivi ospitate. Nelletendopoli le uniche assemblee popolari consentite e incoraggiante, quando nondirettamente indette dal capo-campo della protezione civile, come è successo a piazzad’armi, sono quelle per simulare la libera elezione dei responsabili civili perla sicurezza, ossia i kapò. Un kapò per ogni etnia per meglio controllare ognicomunità, praticamente scelto dal capo-campo in cambio di condizioniprivilegiate nella tendopoli stessa. Altro che Stato di diritto e didemocrazia! I campi sono blindati: vietato introdurvi volantini e macchinefotografiche, vietato importare ed esportare informazione e democrazia. Eppurea piazza d’armi c’è un presidio fisso della rai che non trasmette nulla di ciòche accade lì, ad eccezione delle passerelle degli sciacallipolitico-istituzionali. Oltre quei cancelli e quei recinti, solerti funzionaridella digos e della polizia in borghese vigilano affinché la gente rimangaignorante, vigilano affinché tra le maglie di quelle reti non passi neanche unfilo di libertà, di partecipazione. Ma noi dobbiamo resistere, abbiamo ildiritto-dovere di resistere, di partecipare al nostro presente e di essereprotagonisti del nostro futuro.
Vogliono fare il G8 all’Aquila? Noi abbiamo ildiritto-dovere di guastargli la festa prima che la festa la facciano a noi.
D’altronde se per luglio ci saranno ancora macerie le pietre non mancheranno! 

NO AI CAMPI-LAGER!
NO AGLI ALBERGHI-GHETTO!
NOAL G8! 

Per una rete di soccorso popolaremumiafree@inventati.org


NON SI FA POLITICA NEI CAMPI!

Ha vita dura chi nei vari campi vuole diffondere volantini,materiale informativo, organizzare dibattiti pubblici sui limiti deldecreto e sui problemi della ricostruzione.
Spesso ci si sente rispondere in bolzanese, siciliano o in altrecadenze: «Mi spiace, nel campo non si può entrare, qui dentro non si fapolitica».
Si possono intonare canti gregoriani, partecipare a tre messe algiorno, appendere in sala mensa materiali informativi dell’Opus dei, sipuò vedere tutti insieme Paperissima o Bruno Vespa in televisione, sipuò pregare prima di mangiare, come avviene nel campo di Roio Piano,gestito niente meno che dai Cavalieri di Malta. Si può assistere allevisite di ministri e sottosegretari. Si possono distribuire bigliettida visita di imprenditori del ramo edile, di ingegneri e venditori dicamper e case di legno.

Ma politica, per carità, non si può proprio
> continua qui

 
L’ASSEMBLEA CONTRO IL G8 HA DECISO PER TUTTI !?

Hadeciso per tutti perché indire un’assemblea nazionale con meno di unasettimana di preavviso vuol dire non dare la possibilità ad altrerealtà di parteciparvi e contribuire alla costruzione di unamanifestazione pacifica ma determinata e imponente, che avrebbe datosolidarietà e voce anche alla rabbia e alla sofferenza degli sfollati,che ora trovano sfogo solo nella guerra tra poveri.
Inoltre la presenza dei manifestanti da fuori avrebbe potuto anche"alleggerire" il controllo sugli sfollati all’interno delle tendopoli,per concentrarsi maggiormente sugli 8 "grandi" e sul corteo.

Quindi nessun controvertice all’Aquila e i terremotati saranno ancora più blindati e isolati per quei giorni.

La dignità di una popolazione non si misura con la pietà chesuscita, ma con la capacità di organizzarsi nella lotta. Oltre aipannoloni i terremotati acquilani di questo avrebbero bisogno e leorganizzazioni attive su questo territorio, di questo dovrebbero farsicarico, visto che nella campagna del 100% in ultima istanza si èparlato anche di piena partecipazione dei cittadini nelle scelte che liriguardano.

E visto che riguardano anche me, come terremotata interessata apartecipare a quell’assemblea, vorrei porre a chi l’ha indetta delle
domande:

Perché l’assemblea è stata indetta in contemporanea ad un presidioantifascista a Teramo a cui i compagni avevano invitato da più di unasettimana tutti gli antifascisti abruzzesi a partecipare?

Perchè l’assemblea regionale non è stata adeguatamente e in tempo debito pubblicizzata in rete?

Quanti sfollati aquilani vi hanno partecipato?

Quanti sfollati si sono fatti consapevolmente rappresentare dai presenti?

Infine, come parlano coloro che hanno steso il resoconto?
"le nostre genti esperiranno la dura contropartita della menzogna"?!
"se c’è chi pensa opportuno […] un controvertice e corteo classici in altri luoghi?!!
prima il termine "manifestazioni invasive" nel primo resoconto dellapenultima assemblea (cui è stato tolto "invasive" prima di essere messoin rete) poi il controvertice inopportuno e il corteo "classico", ossiail presepe fuori dai riflettori, dall’Aquila e dal G8 il tutto per nondare fastidio al G8 altro che solidarietà!!!

Luigia, per una rete di soccorso popolare

trovate il documento qui


 

"Ecco gli sciacalli!". Televisioni e giornali li avevano annunciati fin dalla prima ora, s’erano presi un paio di flop nella foga di uscire con la sperata notizia della presa del primo sciacallo, esente di umanità e pudore, neutralizzato dalle forze dell’ordine nell’intento di portare vie ricchezze da L’Aquila Onna o Fossa. E’ andata diversamente, i più ingenui non hanno avuto la forza di rendersi conto che gli odiati profittatori della tragedia del terremoto abruzzese erano già sulle prime pagine e nei teleschermi di tutt’Italia: chi con indosso un cappello da pompiere, chi bramosamente in diretta tv no-stop, chi desideroso di passare inosservato attraverso la convocazione di una conferenza stampa, chi ostinatamente addetto a controbattere ad ogni tipo di critica (già dichiarata bandita), chi svergognatamente impegnato a farsi da garante della sicurezza degli edifici di tutto l’Abruzzo. Oggi degli sciacalli si conosce nome e cognome, la gente dei campi è stufa e stanca, l’Abruzzo nonostante sia diventata una gigantesca zona rossa evidenzia increspature…

Non offendete la memoria dei nostri figli! L’Aquila sempre più intesa e utilizzata come passerella politica, nuovo centro di un’attenzione mediatica costruita ad hoc. Attenzione non tanto rivolta al progredire (?) della ricostruzione (per quello bastano un paio di inaugurazioni al mese per tranquillizzare gli scettici), all’uscita dalla logica dell’emergenza e quindi dallo stato di eccezione dei campi e di vite sospese, alla riappropriazione sociale dei territori da parte di cittadinanze inghiottite da una militarizzazione furiosa che lascia più che altro immaginare all’affronto della prossima scossa di terremoto per mano delle milizie della Brigata Folgore. La scena è, mediaticamente, della politica in cerca di fortune e consenso, dietro le quinte, dei costruttori pronti a tornare a riempirsi le pancie a suon di speculazioni, nel quotidiano, dei battaglioni armati fino ai denti dell’esercito e delle forze dell’ordine così come della vorace macchina organizzativa della Protezione Civile. Scenario questo che si è, fin dal primo minuto, voluto presentare come piano liscio, contraddistinto dalla fratellanza e comunanza di intenti ed finalità di tutti coloro che ne sono, volenti o nolenti, coinvolti. A oramai 2 mesi dal terremoto abruzzese anche questo (costruito) "incantesimo" si è andato a rompere, malumori e conflitti fino a ieri sotto traccia esplodono, una rabbia che non può non manifestarsi nel momento in cui, ignobilmente, anche i morti sono strumenti "della ricostruzione".

«Mio figlio era uno studente universitario ed è morto sotto le macerie, cosa c’entra questo con la campagna elettorale?», si ribella Paolo Colonna all’idea della cerimonia già apparecchiata per domani mattina. Quando il presidente del Consiglio sarà per l’ennesima volta a l’Aquila per consegnare alle famiglie degli studenti morti sotto le macerie una laurea honoris causa. All’invito del rettore lui e le famiglie di altri sette studenti morti nel terremoto avevano già risposto di no. Il perché lo spiegano in una lettera al rettore firmata con i nomi dei loro figli.

«Siamo stati noi a tirarli fuori dalle macerie», racconta il padre, che, quando ha cominciato a intuire cosa poteva essere accaduto a l’Aquila è corso da Torre de’ Passeri: «Sul posto c’erano dei ragazzi che scavavano, non c’era la Protezione civile, non c’era nessuno, loro sono arrivati solo diverse ore dopo».

Le proteste delle famiglie degli studenti e delle studentesse rimasti sotto le macerie della Casa dello Studentese di L’Aquila hanno indotto il presidente del consiglio Berlusconi a non presentarsi alla cerimonia di consegna delle lauree honoris causa, per evitare coloro che non ritengono accettabile anche la speculazione sui figli morti. Contestazione che il premier ha però trovato, sempre nella giornata del 29 maggio, davanti all’ingresso della caserma della Guardia di Finanza di Coppito: quando doveva ancora cominciare l’ennesima conferenza stampa lì convocata alcune decine di giovani aquilani hanno compiuto una sortita di protesta, puntando il dito contro il decreto sul terremoto e le passerelle di testimonianza degli esponenti politici. "Cacciate i soldi. Forti e gentili si, fessi no", questo lo striscione esposto. Sono stati tutti identificati ed allontanati dai finanzieri.

Vietato fare politica nei campi abruzzesi I sentori del nuovo ordine imposto dall’arrivo in forze della Protezione Civile si era avvertito fin dalla prima settimana post-terremoto: gli uomini del super-commissario Bertolaso non hanno permesso che nulla non passasse dal loro corpo, dagli aiuti donati fino all’organizzazione delle attività dei campi. Tanti compagni e compagne abruzzesi, come avevamo avuto modo già di raccontare nei mesi precedenti, si sono attivati fin da subito, mettendo in moto processi d’autorganizzazione dal basso rivelatosi ben presto assolutamente concreti, su più livelli, facendo da raccordo della reale ed estesa solidarietà sociale, impedendo (non da corpi estranei rispetto al tessuto dell’aquilano) che i campi fossero trasformati in teatri di interessata lobomotizzazione. Ogni criticità e contraddizione la Protezione Civile cerca di plasmarla con modalità delle più subdole, ostracizzando chiunque voglia occuparsi da protagonista della propria terra e del proprio futuro.

Ha vita dura chi nei vari campi vuole diffondere volantini, materiale informativo, organizzare dibattiti pubblici sui limiti del decreto e sui problemi della ricostruzione. Spesso ci si sente rispondere in bolzanese, siciliano o in altre cadenze: «Mi spiace, nel campo non si può entrare, qui dentro non si fa politica». Si possono intonare canti gregoriani, partecipare a tre messe al giorno, appendere in sala mensa materiali informativi dell’Opus dei, si può vedere tutti insieme Paperissima o Bruno Vespa in televisione, si può pregare prima di mangiare, come avviene nel campo di Roio Piano, gestito niente meno che dai Cavalieri di Malta. Si può assistere alle visite di ministri e sottosegretari. Si possono distribuire biglietti da visita di imprenditori del ramo edile, di ingegneri e venditori di camper e case di legno. Ma politica, per carità, non si può proprio. Soprattutto ora che ci si avvicina al G8. Neanche la politica nel senso più nobile del termine, curarsi cioè del bene comune, decidere insieme il futuro della polis, della propria città che va ricostruita da capo e in cui ci si dovrà vivere.

da "Vietato fare politica nei campi abruzzesi", Abruzzo Tv, 26 maggio 2009

Abruzzesi in piazza, Berlusconi li vuol mandare in crociera La prima reale uscita pubblica dei tanti comitati cittadini e delle reti solidali nate dalle macerie del terremoto abruzzese si è avuta, con forza, il 1 giugno. Centinaia e centinaia di aquilani si sono dati appuntamento sotto la Fontana Luminosa, con il proposito di attraversare il cuore della città, bollata però come "zona rossa" dalle autorità, quindi inagibile. Tutti muniti di casco giallo in testa si sono avvicinati all’imbocco del centro cittadino, fermati dalle forze dell’ordine con le quali si sono verificati momenti di tensione. Massimo Cialente, sindaco de L’Aquila, si è proposto come mediatore, cercando di destraggiarsi tra l’appoggio alle proteste della popolazione e l’agibilità limitata concessa dal ruolo che detiene, nell’opportunismo di non mostrarsi come altro avversario e responsabile della situazione ai cittadini e alle cittadine aquilane. In quest’ottica dev’esser anche vista l’annunciata manifestazione ventilata dai sindaci dell’area per il 3 giugno contro il decreto sull’Abruzzo, alla luce di una realtà indubbiamente insostenibile ma anche nell’interesse di riappropriarsi dei poteri all’oggi "sequestrati" da Governo e Protezione Civile. "Entro settembre contiamo di non avere più gente nelle tende, mentre questa estate vogliamo programmare vacanze al mare per le famiglie e crociere sul Mediterraneo per i ragazzi", questa l’ultima boutade del presidente del consiglio Berlusconi: che i terremotati lascino ricostruire l’Abruzzo a speculatori e palazzinari, l’esercito vigilerà sulle loro macerie, la Protezione Civile si adopererà per battere il terreno per accogliere il G8, che vadano a rilassarsi nelle moderne colonie in versione familiare elargite dal governo… Son arrivati gli sciacalli! 


29 maggio, davanti la scuola della guardia di finanza

Contestato Berlusconi

I familiari degli studenti morti rifiutano la laura ad honorem e alcuni
sfollati manifestano fuori con degli striscioni che la guardia di
finanza fa rimuovere dopo 5 minuti e dopo aver identificato i
manifestanti. Ragione indotta: non si può manifestare perchè è zona
militare.

30 maggio, manifestazione al centro storico
Mentre continuano le scosse, le zone rosse (i centri storici) del comune
dell’Aquila, da 2 mesi non sono stati ancora puntellate: Le case che
avevano retto al sisma del 6 aprile sono ancora sottoposte a
sollecitazioni telluriche senza essere state messe in sicurezza. Alcune
sono crollate la notte scorsa dopo una scossa di 3.5. Chi prima poteva
risistemare la propria casa con poche migliaia di euro ora deve
ricostruirla interamente. Con quali soldi? con quelli che per esempio
Berlusconi, in piena campagna elettorale, stanzia alle imprese
turistico-alberghiere per pagare la crociera agli sfollati. Gli stessi
imprenditori che riconfermeranno il voto al centrodestra alle
amministrative del 6-7 giugno. Ma il soggiorno al mare con soldi
pubblici fa gola anche a chi non ne ha bisogno, fa gola anche a chi la
casa al mare già ce l’ha ma se ne sta in albergo a spese dello stato,
come l’ex sindaco dell’Aquila di forza italia (prima AN), Biagio Tempesta.


Articolo per Umanità Nova

Un terremoto ha sconvolto la città de L’Aquila ed i paesi vicini seminando macerie, morte e distruzione. 

Visto lo sciacallaggio giornalistico cui stiamo assistendo in questi giorni relativamente a quest’evento vien quasi voglia di non parlarne per nulla, lasciando il commento ed il ragionamento a quando si saranno spenti i riflettori sui drammi delle genti d’Abruzzo e ci sarà da impegnarsi per ricostruire quanto distrutto dalla natura e dall’ingordigia degli uomini.
Corre però l’obbligo di scriverne per dar conto di quanto si sta facendo e per denunciare quanto viene sottaciuto dalla cronaca, unanime più del solito nel distorcere la realtà e pronta ad ascrivere qualsiasi critica alla gestione dell’emergenza nella sterile categoria delle "polemiche inutili" di fronte a siffatta tragedia.
Noi riteniamo che sia criminale lasciare la gestione dei soccorsi e della ricostruzione alle stesse persone che hanno avuto responsabilità nelle cause della tragedia e per questo ci stiamo muovendo autonomamente nell’aiutare le vittime di questa catastrofe.
La macchina dei soccorsi non ha funzionato alla perfezione, tutt’altro. A 24 ore dal sisma mancavano molti generi di prima necessità, acqua potabile, coperte. Ci siamo attivati noi stessi (come molti altri volontari autorganizzati mossi solo da sentimenti di solidarietà), su indicazione dei nostri compagni della zona, per sopperire alle carenze più drammatiche. A 48 ore dal sisma alcune zone non erano ancora state raggiunte dai soccorsi. A una settimana manca il riscaldamento in moltissime tende e sono ancora molti quelli costretti a dormire in macchina.
Di positivo c’è stato il volontariato fatto da gente che sa bene che dallo stato c’è da aspettarsi nulla  e che si è mossa da sola per portare aiuti direttamente alle vittime.
Di negativo ci sono gli sciacalli che si sono lanciati su questa tragedia. Dei giornalisti abbiamo detto, persone inquietanti che si complimentano per l’audience raggiunta dai programmi sulla catastrofe. Che non si fermano di fronte al dolore delle persone. Sempre pronti ad assecondare il potente di turno venuto a fare passerella (e propaganda elettorale) nelle zone disastrate.
I politici, locali e nazionali, che sanno di poter sfruttare l’emergenza terremoto per ottenere più soldi e potere. Si inventano gli "sciacalli" che ruberebbero nelle case dei terremotati (peccato che finora non ne sia stato sorpreso uno) per poter fermare i camion dei compagni che portano aiuti ed inasprire la legislazione sulla "sicurezza". Pensano alle "new town" per poter devastare ulteriormente il territorio ed intanto sparpagliano gli sfollati in tutta la provincia (vorrebbero anche fare deportazioni in altre regioni) per poter distruggere il tessuto umano di solidarietà tra gli abitanti de L’Aquila e far passare senza opposizione i loro folli progetti di ulteriore devastazione territoriale.
Torneremo su costoro nei prossimi numeri del giornale, quando si entrerà nel vivo della discussione sui progetti per la ricostruzione. 
Sul nostro lato invece, va segnalata la prontezza dimostrata dai compagni de L’Aquila, in particolare quelli attivi nello Spazio Libero 51 che, fin dalla sera del terremoto, si sono organizzati nel campo di Fossa divenendo punto di riferimento per tutti gli sfollati lì ospitati e occupandosi della gestione delle emergenze che di volta in volta si creavano in quel campo e nei campi vicini. Immediata è stata anche la solidarietà dei compagni della Federazione delle zone limitrofe (soprattutto Roma e Napoli) che da subito hanno organizzato convogli con beni di prima necessità. Vanno citati anche i compagni dei centri sociali romani che organizzandosi come "epicentro solidale" hanno organizzato una raccolta nei centri sociali e stanno provvedendo alla distribuzione nelle zone terremotate. Uno dei progetti che già è partito è quello della scuola-campo: si stanno riattivando nelle tendopoli, ad opera dei compagni, le scuole elementari. Questo progetto, ad oggi pienamente operativo solo nel campo di Fossa, ha riscosso appoggio da parte di molti lavoratori della scuola abruzzesi e non solo.
Per carenza di spazio non possiamo citare tutti quelli (sindacati di base, centri sociali, radio libere, gruppi anarchici) si sono messi in contatto con i compagni attivi nel cratere sismico per offrire solidarietà, disponibilità e portare aiuti.
Visto che noi non ci muoviamo con l’attualità mediatica e riteniamo che, purtroppo, i tempi saranno lunghi, ci sarà modo di dettagliare i progetti di solidarietà di cui si va discutendo in queste ore e quelli che saranno individuati in seguito.
Per quanto riguarda l’aspetto delle responsabilità, alcune colpe della catastrofe vanno denunciate da subito. Ci sono persone che su quanto successo hanno grosse responsabilità e su cui invece c’è silenzio. In particolare, in un circo mediatico dove i politici sono disposti a scannarsi perché la loro opinione (su  una cosa o sul suo contrario) compaia nei notiziari della sera, verifichiamo il totale consenso nei confronti del Dott. Guido Bertolaso, immarcescibile gestore delle emergenze di questo paese.
Ha cominciato nel 1982, con Andreotti Ministro degli Esteri, ad occuparsi dell’assistenza sanitaria ai paesi poveri. Ha proseguito con la responsabilità della Protezione Civile dal 1996 (Governo Prodi). Rutelli lo incaricò di gestire il Giubileo del 2000. Con Storace si occupò dell’emergenza SARS. Dal 2001 è ininterrottamente capo del Dipartimento della Protezione Civile presso la Presidenza del Consiglio, quale che sia il Presidente del Consiglio.
Attualmente è sottosegretario del governo Berlusconi, commissario incaricato della gestione del G8 alla Maddalena, commissario dei rifiuti a Napoli (cosa per la quale è inquisito), presidente del comitato organizzatore dei mondiali di nuoto a Roma, Sovraintendente ai beni archeologici di Roma e Ostia ed ha appena finito di essere commissario per la piena del Tevere ed organizzatore dei mondiali di ciclismo a Varese.
Forse perché così pieno d’impegni il "commissario a ripetizione" Dott. Bertolaso, non voleva occuparsi anche dei rischi che correva L’Aquila, e che gli avrebbero, di certo, fruttato un altro pesante (anche se ben remunerato) incarico. 
Gli abitanti de L’Aquila erano, infatti, preoccupati perché da alcuni mesi si susseguivano, quasi quotidianamente, scosse di terremoto. Oltretutto, benché non ci sia concordia nel mondo scientifico sulla possibilità di prevedere i terremoti, c’era stata anche la denuncia di un forte rischio sismico, fatta dal Prof. Giuliani, che studia le fuoriuscite di Radon dalla crosta terrestre, un gas considerato precursore di terremoti.
Insomma, invece di avviare misure di prevenzione all’indomani di una scossa del 4º grado della scala Richter verificatasi all’Aquila il 30 marzo scorso, il Dottor Bertolaso ha preferito far riunire la commissione Grandi Rischi proprio a L’Aquila il giorno successivo per tranquillizzare tutti.
La cosa migliore sarebbe stata, comunque, un invito alla prudenza, non si sa mai, ed invece, visto che il fine era quello di tranquillizzare, nel verbale della riunione viene considerato "Improbabile che ci sia a breve una scossa come quella del 1703, pur se – bontà loro – non si può escludere in maniera assoluta". Al termine della riunione si raccomanda "nei prossimi rilievi agli edifici scolastici, verificare la presenza di tali elementi quali controsoffittature, camini, cornicioni in condizioni precarie". 
Insomma, non c’era alcun pericolo, al massimo sarebbe potuto cadere un po’ di intonaco!! 
Per convalidare la cosa Bertolaso stesso ha auspicato la denuncia di Giuliani per "procurato allarme".
Peccato che la faglia non sapesse leggere e sei giorni dopo quella riunione devastasse la città de L’Aquila.
Gli stessi commissari si sono allora riuniti in gran fretta il pomeriggio del terremoto per giustificare la magra figura fatta e dimostrando di non saper imparare dai propri errori, oltre alla ripetizione delle affermazioni sulla impossibilità di prevedere il terremoto, per quanto "Un terremoto di elevata magnitudo era quindi da attendersi" (e allora perché non l’avete scritto una settimana prima!), si sbilanciano in un’altra previsione "repliche di rilevante entità nella stessa zona epicentrale nei prossimi mesi sono poco probabili". Detto fatto, il giorno dopo e nei giorni successivi, altri terremoti di intensità analoga al primo si sono succeduti nella città de L’Aquila.
Tanto per capire l’attività svolta da questi signori ricordiamo che la commissione Grandi Rischi è la stessa che nel 2003 certificò l’antisismicità dell’Ospedale San Salvatore dell’Aquila, quello costruito dall’Impregilo e divenuto inagibile alla prima scossa di terremoto.
Fortunatamente la commissione ha smesso di riunirsi, spero vivamente che gli esimi membri si diano all’astrologia: la capacità previsionale sarà la stessa, ma almeno faranno meno danni.
Guido Bertolaso invece è rimasto in sella a gestire la macchina dei soccorsi. 
Altri personaggi sono in sella e si preparano a gestire la ricostruzione, pur avendo avuto un ruolo nella catastrofe. Si tratta dei costruttori aquilani, i vari Cicchetti, Barattelli, Irti, Martella, Tiberi, Ianni,  quelli che hanno costruito a L’Aquila in questi anni. Perché, se gli appalti grossi (come quello dell’Ospedale San Salvatore) se li è presi l’Impregilo ed altre grosse imprese nazionali, quelli piccoli li hanno fatti tutti loro. Cicchetti, nella sua veste di presidente provinciale dell’associazione costruttori ha dichiarato "Nelle case fuori dalle mura cittadine sono caduti solo ninnoli, soprammobili, intonaci". Peccato che la Casa dello studente, l’Ospedale, l’albergo Duca degli Abruzzi, la Prefettura, il Catasto, il Tribunale fossero tutti edifici moderni. E peccato che i 300 morti non si siano accorti che cadevano solo ninnoli e che i cinquantamila senzatetto non sappiano che basti dare una stuccata per tornare ad abitare nelle loro case. 
Di pari passo con i palazzinari, vanno, da sempre, i latifondisti de L’Aquila, gli Scassa, i Vittorini, i Berti-De Marinis proprietari dei terreni a Pettino, il più grande quartiere de L’Aquila, costruito, grazie al piano regolatore del 1975 proprio sulla faglia del terremoto del 1703. Queste famiglie erano quelle che, quando il piano regolatore venne approvato, controllavano l’assessorato comunale all’urbanistica, sono quelli che hanno fatto i soldi quando il quartiere venne edificato e sono quelle a cui i 20.000 abitanti/sfollati di Pettino dovranno andare a chiedere il conto.
La magistratura promette inchieste, noi non ci crediamo. In tutti questi anni non ha voluto mettere in discussione il sistema di potere che ha governato L’Aquila, anche di fronte alle più sfacciate evidenze (vedi caso Del Turco) si è limitata a qualche arresto eccellente. I crolli inspiegabili sono figli del cemento armato senza tondini, dei cambi di destinazione d’uso, dell’edificabilità in aree vincolate, delle sopraelevazioni, degli scavi per l’inutile metropolitana di superficie che in questi anni, nonostante le puntuali denuncie dei compagni, hanno visto la totale acquiescenza di tutti gli organismi preposti ai controlli. 
Torneremo pertanto, nei prossimi numeri del giornale, ad affrontare le responsabilità del terremoto e a denunciare quello che già si annuncia come il ricco mercato degli appalti per la ricostruzione.
Chiudiamo ricordando il Professor Guido Zingari, docente di filosofia del linguaggio a Tor Vergata e collaboratore della casa editrice Le Nubi: è morto nella propria casa durante il terremoto.
A lui e a tutte le altre vittime va il nostro cordoglio, ai loro carnefici la nostra rabbia.

 


Ho visto l’Aquila: lettera a mia moglie di notte

Ho visto L’Aquila. Un silenzio spettrale, una pace irreale, le case
distrutte, il gelo fra le rovine. Cani randagi abbandonati al loro destino.
Un militare a fare da guardia ciascuno agli accessi alla zona rossa, quella
off limits. Camionette, ruspe, case sventrate. Tendopoli. Ho mangiato
nell’unico posto aperto, dove vanno tutti, la gente, dai militari alla
protezione civile. Bellissimo. Ho mangiato gli arrosticini e la mozzarella
e
i pomodori e gli affettati. Siamo andati mentre in una tenda duecento
persone stavano guardando “Si Può Fare” . Eravamo io, Pietro, Michele,
Natasha, Cecilia, AnnaMaria, Franco e la sua donna.
Poi siamo tornati quando il film stava per finire. La gente piangeva. Avevo
il microfono e mi hanno chiesto come si fa a non impazzire, cosa ho
imparato
da Robby e dalla follia di Robby, se non avevo paura di diventare pazzo
quando recitavo.
Ho parlato con i ragazzi, tutti trentenni da fitta al cuore. Chi ha perso
la
fidanzata, chi i genitori, chi il vicino di casa. Francesca, stanno
malissimo. Sono riusciti ad ottenere solo ieri che quelli della protezione
civile non potessero piombargli nelle tende all’improvviso, anche nel
cuore
della notte, per CONTROLLARE. Gli anziani stanno impazzendo. Hanno vietato
internet nelle tendopoli perché dicono che non gli serve. Gli hanno
vietato
persino di distribuire volantini nei campi, con la scusa che nel testo di
quello che avevano scritto c’era la parola ‘cazzeggio’. A venti
chilometri
dall’Aquila il tom tom è oscurato. La città è completamente
militarizzata.
Sono schiacciati da tutto, nelle tendopoli ogni giorno dilagano episodi di
follia e di violenza inauditi, ieri hanno accoltellato uno. Nel frattempo
tutte le zone e i boschi sopra la città sono sempre più gremiti di
militari,
che controllano ogni albero e ogni roccia in previsione del G8. Ti rendi
conto di cosa succederà a questa gente quando quei pezzi di *****
arriveranno coi loro elicotteri e le loro auto blindate? Lì???? Per
entrare
in ciascuna delle tendopoli bisogna subire una serie di perquisizioni
umilianti, un terzo grado sconcertante, manco fossero delinquenti, anche
solo per poter salutare un amico o un parente.

Non hanno niente, gli serve tutto. (Hanno) rifiutato ogni aiuto
internazionale e loro hanno bisogno anche solo di tute, di scarpe da
ginnastica. Per far fare la messa a Ratzinger, il governo ha speso
duecentomila euro per trasportare una chiesa di legno da Cinecittà a
L’Aquila.
Poi c’è il tempo che non passa mai, gli anziani che impazziscono. Le
tendopoli sono imbottite di droga. I militari hanno fatto entrare qualunque
cosa, eroina, ecstasy, cannabis, tutto. E’ come se avessero voluto
isolarli
da tutto e da tutti, e preferiscano lasciarli a stordirsi di qualunque
cosa,
l’importante è che all’esterno non trapeli nulla. Berlusconi si è
presentato, GIURO, con il banchetto della Presidenza del Consiglio. Il
ragazzo che me l’ha raccontato mi ha detto che sembrava un venditore di
pentole. Qua i media dicono che lì va tutto benissimo. Quel ragazzo che mi
ha raccontato le cose che ti ho detto, insieme ad altri ragazzi adulti, a
qualche anziano, mi ha detto che "quello che il Governo sta facendo sulla
loro pelle è un gigantesco banco di prova per vedere come si fa a tenere
prigioniera l’intera popolazione di una città, senza che al di fuori
possa
trapelare niente". Mi ha anche spiegato che la lotta più grande per tutti

è proprio non impazzire. In tutto questo ci sono i lutti, le case che non
ci
sono più, il lavoro che non c’è più, tutto perduto.
Prima di mangiare in quel posto abbiamo fatto a piedi più di tre
chilometri
in cerca di un ristorante, ma erano tutti già chiusi perché i proprietari
devono rientrare nelle tendopoli per la sera. C’era un silenzio
terrificante, sembrava una città di zombie in un film di zombie. E poi
quest’umanità all’improvviso di cuori palpitanti e di persone non
dignitose,
di più, che ti ringraziano piangendo per essere andato lì. Ci voglio
tornare. Con quella luna gigantesca che mi guardava nella notte in fondo
alla strada quando siamo partiti e io pensavo a te e a quanto avrei voluto
buttarmi al tuo collo per dirti che non ti lascerò mai, mai, mai.
Dentro al ristoro privato (una specie di rosticceria) in cui abbiamo
mangiato, mentre ci preparavano la roba e ci facevano lo scontrino e fuori
c’erano i tavoli nel vento della sera, un commesso dietro al bancone ha
porto un arrosticino a Michele, dicendogli ‘Assaggi, assaggi’. Michele
gli
ha detto di no, che li stavamo già comprando insieme alle altre cose, ma
quello ha insistito finché Michele non l’ha preso, e quello gli ha detto
sorridendogli: "Non bisogna perdere le buone abitudini".
Domani scriverò cose su internet a proposito di questo, la gente deve
sapere.
Anzi metto in rete questa mia lettera per te.
Andrea Gattinoni, 11 maggio notte.


 
Cara Redazione,
sono
Pina Lauria e sono residente a L’Aquila; attualmente “abito” presso la
tendopoli ITALTEL 1, perché alla mia casa, che devo ancora finire di
pagare, è stata assegnata la lettera E, che in questo drammatico
alfabeto significa “danni gravissimi”.
Scrivo per illustrarvi alcune
considerazioni, di carattere generale e, più in particolare, relative
alla qualità della vita nei campi.
Intanto, evidenzio la grande
confusione che c’è nella città: a quasi due mesi dal terremoto, viviamo
ancora uno stato di emergenza. Uno dei grandi nemici di questi giorni,
e dei prossimi, è il caldo: arriveranno i condizionatori ma
risolveranno ben poco perché, come sicuramente sapete, il
condizionatore funziona in una casa, con le pareti di cemento e con le
finestre chiuse, non in una tenda, dove il sole batte a picco e da dove
si esce e si entra….inoltre, la tenda non è che si chiude ermeticamente!
Allora,
il problema vero è questa lunga permanenza nella tendopoli alla quale
saremo costretti fino ai primi di novembre. E’ assurdo ed inconcepibile
che, per saltare una “fase”, come ha detto il Presidente del Consiglio,
bisogna aspettare circa sette mesi per avere una casa, comunque sia. E
a novembre, se le cifre rimangono quelle dette dal Governo e dalla
Protezione Civile, saranno soltanto 13 mila i cittadini aquilani che
potranno lasciare le tende. Su questo vorrei chiarire che si sta
assistendo ad un balletto delle cifre che nasconde una amara verità. Mi
spiego. Queste cifre si riferiscono alle verifiche finora effettuate ed
alle risultanze avute. Si sta ragionando in questi termini: se su un
tot di case verificate, è risultata una agibilità pari al 53%, e
mantenendo questo trend, allora le case inagibili saranno all’incirca
5.000 per 13 mila persone.
L’agibilità è stata dichiarata per le
abitazioni dei paesi vicini a L’Aquila; i quartieri nelle immediate
vicinanze del centro storico, a ridosso delle mura (Sant’Anza (il
quartiere dove abito), Valle Pretara, Santa Barbara, Pettino, tutti
molto popolosi, hanno le case inagibili.
Inoltre, bisogna
considerare che il centro storico ancora non viene sottoposto ad alcun
tipo di verifica perché, a tutt’oggi, è zona rossa.
Nel centro
storico risiedono circa 12 mila cittadini, senza contare i domiciliati,
soprattutto gli studenti fuori sede. Allora, a novembre dovrebbero
avere la casa almeno 26.000 cittadini, facendo un calcolo al
ribasso
perché, considerando anche gli abitanti dei quartieri distrutti, gli
immobili da recuperare con interventi molti consistenti e, quindi, con
tempi necessariamente lunghi, sicuramente le abitazioni necessarie
dovrebbero essere sull’ordine delle 45 mila persone.
Questo è il
futuro che ci aspetta e lo tengono nascosto! Ma il Presidente del
Consiglio ha detto che, comunque, le tende sono già dotate di impianto
di riscaldamento, e quel”già” mi ha molto inquietato.
Non possiamo accettare di restare nelle tende fino a novembre, e sicuramente fino a marzo del 2010!
Questo
ragionamento lo stavo facendo alcuni giorni fa al campo: prima con
alcune persone, poi si sono avvicinati altri ed eravamo diventati un
bel gruppetto: dopo alcuni minuti dal formarsi dell’”assembramento non
autorizzato”, sono arrivati i carabinieri, in servizio all’esterno del
campo. Ho chiesto se ci fosse qualche problema. Mi hanno risposto che
non c’era alcun problema, ma restavano anche loro ad ascoltare.
Conclusione:
dopo alcuni minuti, tutti ce ne siamo ritornati nelle tende.Racconto
questo episodio, e ne posso citare tanti altri (ad alcuni componenti di
vari comitati cittadini, che stavano raccogliendo le firme per il
contributo del 100% per la ricostruzione o ristrutturazione della casa,
è stato vietato l’accesso nei campi), per denunciare quello che
definisco la sospensione dei diritti garantiti dalla nostra
Costituzione: libertà di opinione, di parola, di movimento.
Ora,
posso comprendere, anche se non giustificare, un tale comportamento nel
primo mese, che secondo me rappresenta la vera fase di emergenza, ma
far passare tale logica antidemocratica per 7 mesi, ed anche di più,
somiglia più ad un colpo di Stato che ad una “protezione civile”.
Adesso mi trovo per qualche giorno a Bologna, presso mia figlia Mara
che sta ultimando un dottorato in Diritto del Lavoro (senza borsa,
perché l’Alma Mater non aveva i fondi a sufficienza per finanziare
tutte e quattro i posti messi a bando: Mara si è posizionata terza,
paga una tassa di iscrizione al dottorato di circa 600 euro l’anno e un
affitto di 500 euro mensili, più le spese); proprio questa mattina ho
dovuto chiamare il responsabile del mio campo perché la famiglia che
abita con me mi ha informato che si stavano effettuando i controlli per
assegnare il nuovo tesserino di residente al campo (ne possiedo già
uno). Mi ha preso una tale agitazione tanto da sentirmi male: questa
procedura che si ripete spesso nei campi, l’esibizione del documento e
l’autorizzazione di accesso per gli “esterni”che ti vengono a fare
visita, e magari sono i tuoi fratelli, sorelle, madri e padri che hanno
trovato sistemazione in altri campi o luoghi, il fatto che adesso,
nonostante avessi preventivato di stare un po’ di tempo con mia figlia,
debba rientrare per avere di nuovo il tesserino, dietro presentazione
di un documento di riconoscimento, anche se sono già tre volte che i
responsabili del campo hanno annotato il numero della mia carta di
identità, mi scuote in maniera incredibile. Ma la Protezione Civile mi
deve proteggere in maniera civile o mi deve trattare come se fossi in
un campo di concentramento? Il responsabile del mio campo, quando gli
hoparlato questa mattina, mi ha detto che non c’era alcun problema, che
potevo tornare quando volevo, riconsegnare il vecchio tesserino e
prendere il nuovo, e comunque dovevo comunicare l’allontanamento dal
campo, la prossima volta che ciò sarebbe accaduto. Mi chiedo: perché
devo comunicare i miei spostamenti? La tenda, adesso, è la mia casa ed
ho timore che lo sarà per molto tempo, almeno fino a novembre. Quale è
la norma che mi impone di comunicare i miei spostamenti? Se mi si
risponde che si è in presenza di una situazione di emergenza, e che
tale situazione durerà mesi e mesi, allora siamo veramente in presenza
di un pauroso abbassamento del livello di democrazia!
Non sono
“vaporosa”, non sono arrabbiata: sono esacerbata! Ritengo che la nostra
città stia diventando non una città da ricostruire, ma una città
“laboratorio”, in cui si vuole sperimentare il nuovo modello di
società: privo di diritti, passivo, senza bisogni: quello che ti do è
frutto della buona volontà dei volontari o dell’imperatore e lo prendi
dicendo anche grazie! Mi rifiuto! E si rifiutano i cittadini aquilani!
Sui nostri corpi, sulle nostre menti, sulle nostre coscienze, sulle
nostre memorie nessuno ha il diritto di mettere le mani! Un’altra
considerazione: le tende dell’emergenza sono tutte di otto posti, per
poter accogliere, in tempi molto brevi dopo l’evento catastrofico, il
maggior numero di persone. Di conseguenza, ci sono moltissime
situazioni di promiscuità (la vivo io stessa, con un’altra famiglia che
ha due bambini piccoli). Ritorno sempre alla considerazione di prima:
una situazione di promiscuità può essere proposta ed accettata, a causa
del disorientamento totale in cui ognuno si trova dopo un evento così
terribile, per un mese, ma non per 7 o più mesi! In alcune tende sono
insieme anche tre nuclei familiari! Mi chiedo: non si vogliono
utilizzare i containers, ma allora il Presidente del Consiglio, che ha
tante bellissime idee (sulle donne, sui giudici, sul Parlamento, sulla
Costituzione) perché non pensa a far arrivare tende da quattro? O
meglio, perché non riesce a garantire, da subito, una sistemazione
dignitosa, senza costringermi ad andare sulla costa o in appartamenti
situati nell’ambito della Regione Abruzzo, sicuramente non a L’Aquila,
dove vi è la distruzione totale?
Proprio ieri, un gruppo di
psicologi ha affermato che tale situazione di promiscuità sta
distruggendo le famiglie perché, a parte le discussioni che ci sono,
dalle cose più grandi a quelle più piccole (pensate che si sta
litigando anche per i condizionatori, quelli che li hanno, perché
alcuni li vogliono accesi, i “coinquilini” li vogliono spenti; chi
vuole guardare la televisione e chi vuole riposare), la mancanza di
intimità e di momenti privati determina nervosismo e sensazione di
annullamento di ogni sentimento, senza considerare che nei campi non
esiste nessun momento di intimità, né nei bagni, né nelle docce, né a
pranzo né a cena.Non posso restare in silenzio ed accettare
passivamente: voglio essere protagonista della mia vita e della
ricostruzione della mia città, e non voglio sentirmi come una
partecipante del Grande Fratello! Non abbiamo intenzione, noi Aquilani,
di essere triturati dalla societàcdello spettacolo: alle menzogne
mediatiche opporremo la nostra intelligenza, volontà e coraggio….e la
nostra rabbia.L’Aquila è la mia, la nostra città e non è in vendita,
per nessuno!Spero che questa mia lettera venga da voi presa in
considerazione: sono forte, coraggiosa…come tutti voi e spero che
possiate darmi voce.
Vi ringrazio, di cuore…anche se spezzato!
Ciao a tutti
 

 
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